Intervista a Mattia Napoli, autore del romanzo “La Cenere di Solomon Hills”
La nostra scuola è piena di persone diverse tra loro per carattere e personalità, ognuna con la propria storia da raccontare. Tra queste vi è anche un ragazzo di 5H, Mattia Napoli, con una tale passione per la scrittura da portarlo a creare e pubblicare il suo primo romanzo, “La Cenere di Solomon Hills”. Abbiamo voluto fermarlo per farci raccontare la sua storia e quella dei mondi che crea facendo ciò che ama.
Ciao, Mattia, vorremmo iniziare chiedendoti di presentarti: raccontaci chi sei e cos’è per te la scrittura.
Mi chiamo Mattia, scrivo e osservo. Non mi piace molto definirmi, ma se dovessi trovare un filo conduttore nelle mie passioni, direi che mi interessano le storie che scavano, che non si fermano alla superficie. Mi piace smontare le cose, capire come funzionano, dissezionarle, che si tratti di un racconto, di un personaggio o di un’intera realtà. La scrittura per me è sia un gioco che un’esigenza, un bisogno viscerale. Un modo per dare forma a pensieri che altrimenti resterebbero incastrati. Non mi interessano le storie semplici, preferisco quelle che lasciano qualcosa in sospeso, che non danno tutte le risposte. Thriller, horror, il grottesco – mi piace tutto ciò che porta un senso di inquietudine, non solo per il gusto di disturbare, ma perché è lì che emergono le domande più interessanti. Un libro, un film, un’idea ben costruita sono per me ingranaggi da smontare, qualcosa da capire prima ancora che da apprezzare.
Nella scrittura metto tutto me stesso e cerco di spaziare, sempre, senza farmi contenere. Proprio su un foglio bianco, infatti, non trovo confini.
Di cosa parla il tuo libro? A cosa ti sei ispirato? Come sei arrivato al finale e com’è stato terminarlo?
“La Cenere di Solomon Hills” parla di una fittizia città Texana spaccata a metà tra due bande: una è formata da veri e propri reietti ed ex militari della guerra civile, l’altra, invece, da padroni di terre o ricchi industriali. I temi sono quindi violenti, una violenza che non guarda in faccia a nessuno – anche per un certo shock value -, ma in alcuni personaggi ho cercato di inserire anche valori positivi. Ha un’ambientazione storica-western (siamo verso la fine del 1800), secca e arida, e la mia ispirazione l’ho trovata da molte opere: da film come “I Magnifici 7” o dalla “Trilogia del Dollaro” di Sergio Leone, da “Django” a libri come “Meridiano di Sangue” di Cormac McCarty e “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. Sono stato ispirato persino da videogiochi come i due “Red Dead Redemption”.
Ho avuto l’occasione di scrivere, dalla metà del libro in poi, durante tutta l’estate. Questo, credo, mi ha aiutato a dedicare buona parte del mio tempo al libro. Dopo l’ultimo punto non saprei dire che cosa ho provato, se una soddisfazione momentanea – alla fine sapevo che c’era altro lavoro da fare – o un desiderio immediato di rimettermi al lavoro. In ogni caso, rimettermi al lavoro è quello che ho fatto.
Come si è evoluto il tuo pensiero dal tuo precedente racconto, “Piume di Piombo”, a questo nuovo romanzo nell’ottica di stile di scrittura ?
Sicuramente ho dovuto dilatare il mio pensiero, adattarlo a un’opera ben più lunga, così come ho cercato di andare a lavorare sui singoli personaggi in modo da pensare già a eventuali evoluzioni. Lo stesso si può dire dell’ambientazione: ho cercato di informarmi sul periodo storico – soprattutto dove si parla di eventi o armi – e sulla geografia. Parlando di ciò, mi sono concentrato sulle descrizioni del paesaggio, tentando di non limitarlo a uno sfondo ma a parte della scena intera.
Solo in seguito ho cominciato a stendere un abbozzo di scaletta, raffinandola man mano, fino a ottenere una trama che riuscisse a guidarmi durante la stesura. Ho addirittura tentato di sperimentare con parole e musicalità in certe sezioni, ma sono molto limitate – alla fine sto ancora cercando di trovare il mio stile.
Com’è nata la tua “passione” per la scrittura?
Non saprei trovare un punto esatto, è qualcosa di graduale che, con il tempo, è fuoriuscito. Mi è sempre piaciuto fantasticare, creando personaggi, ma non ho mai preso in considerazione l’idea di scrivere. Circa nel periodo delle medie ho iniziato a sperimentare con piccoli abbozzi o personaggi via via meglio pensati e caratterizzati. I primi li usavo per dei giochi di ruolo alla “Dungeon and Dragons”, ma ho sempre cercato di pensare delle storie indipendenti.
Ora che ci penso, nemmeno “Piume di Piombo” lo considererei una ‘fioritura’: è nato come un piccolo esperimento per provare a descrivere paesaggi desolati, senza una scaletta o un’ambientazione ragionata. Il protagonista non parla – i dialoghi sono la mia più grande insicurezza – nel tentativo di lasciare più spazio possibile ad azioni e descrizioni, ed è molto lineare, salvo qualche flashback. Solamente da metà stesura ho iniziato a pensare che, forse, poteva uscire qualcosa di apprezzabile, così mi sono fermato per pensare una scaletta. In sostanza, la mia passione è nata per una serie di situazioni capitate al momento giusto. Per caso, quindi.
Che relazione c’è tra il tuo racconto precedente e la tua ultima uscita?
Mi verrebbe da dire che non c’è nessuna relazione, anzi ho cercato di distaccarmi nel tentativo di esplorare situazioni diverse: un’opera più grande, con più personaggi e dunque molti dialoghi. L’unica similitudine potrebbe essere l’attenzione al paesaggio, a ciò che si vede, ma ne “La Cenere di Solomon Hills” questo ha un ruolo ben preciso: accompagnare i personaggi, evidenziarli e quasi intervenire all’interno degli eventi.
Vuoi portare avanti questa tua passione? Vuoi che resti un hobby o lo vedi come futuro lavoro?
Purtroppo – salvo Hemingway – è abbastanza difficile per uno scrittore contemporaneo vivere solo di parole. Ciò nonostante, la scrittura è qualcosa che non voglio abbandonare e, fintanto che avrò qualcosa da raccontare, lo farò. Mi interessa anche esplorare altri media, magari adattare i miei scritti in forme diverse. Ma mi auguro che la scrittura resti sempre una parte importante della mia vita.
Intervista a cura di Federico Beretta